Il tabarro – così come il prodotto della terra non è più “tipico”, ma “distintivo” – rappresenta l’appartenenza formale ad un mondo che ci si dette troppa fretta a dar per morto. Quando i passi si susseguono spediti sotto portici infiniti, nell’atto di fendere l’impalpabile coltre di nebbia, a terra si nota un velo d’acqua appoggiata come un vetro, liquido riflesso sulle pietre roride, luci da qualche parte s’allargano in pulviscolo umido: forse lanterne giallastre o un miraggio da basse temperature, forse solo il desiderio di casa, l’ipotesi d’un fuoco attorno al quale tramandarsi fiabe e leggende, dove far tardi a discapito delle incombenze del giorno dopo. Gli uomini in tabarro, resistenti alla modernità globalizzata, perseverano in un’arcadia felice, perché conservano la metafisica capacità di vedere una luce lontana, quando la foschia cala il suo velo uniformante, il suo sipario campestre.
fonte: La confraternita del tabarro
_ il menu della cena col tabarro [PDF] _